Quasi un sussurro

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    Ci penso e poi vi dico

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    QUASI UN SUSSURRO
    Mini FanFiction di Betz73



    1. Parte
    L’INCIDENTE


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    ©Riyoko Ikeda / TMS Prod. / Yamato Video


    L’aria tiepida di aprile era pregna di profumi, come se la primavera avesse ufficialmente preso dimora proprio quella mattina nella tenuta dei Jarjayes, dopo essersi fatta attendere a lungo soprattutto negli ultimi giorni, trascorsi nel grigiore di una pioggia fredda ed insistente. Le aiuole del giardino all’italiana si erano presto trasformate in un tripudio di colori vivaci, quasi i fiori si fossero accordati per sbocciare nel medesimo istante e contendersi così l’ammirazione degli ospiti che sarebbero giunti per festeggiare la Santa Pasqua del 1789: Josephine e Hortense, due delle sorelle di Oscar, erano di fatti attese l’indomani con le proprie famiglie, e tutta la servitù era in pieno fermento affinché i preparativi fossero completati prima del loro arrivo.
    Oscar era felice di poter rivedere le sorelle, che il matrimonio aveva portato a vivere lontano da Parigi, e ancor più i suoi cinque nipoti, che riusciva ormai ad incontrare solo in occasione delle festività solenni ma che ricordava sempre con grande affetto e tenerezza. Non amava tuttavia quel caos ordinato che caratterizzava sempre l’atmosfera di casa ogniqualvolta si fosse in attesa di un ospite di riguardo (che appartenesse per nascita alla famiglia Jarjayes non avrebbe fatto alcuna differenza), pertanto aveva accettato di buon grado la richiesta della governante di procurarle altra selvaggina con cui “rinforzare” il già abbondante menù previsto per il pranzo pasquale, poiché le aveva dato un ottimo motivo per allontanarsi da palazzo. Era noto a tutti quanto Antoine, il marito di Josephine, avesse una vera predilezione per la loro cucina – un modo piuttosto educato per descrivere la sua incredibile voracità – e Nanny non aveva alcuna intenzione di farsi trovare impreparata di fronte alle esigenze pressoché illimitate del suo palato.
    Non era mai stata un’amante della caccia, Oscar, a differenza della maggior parte degli aristocratici che per anni avevano partecipato con entusiasmo alle battute organizzate nella tenuta di Versailles; tuttavia accompagnando Sua Maestà in qualità di colonnello delle guardie reali, aveva mantenuto suo malgrado un certo “allenamento”, almeno per tutto il periodo trascorso presso la reggia. E nonostante avesse cambiato completamente vita da circa un anno, le sue capacità venatorie non si erano in alcun modo arrugginite, a giudicare dalla quantità e varietà di prede che già riempivano il carniere affidato ad André.
    Erano usciti presto, felici di avere un buon motivo per trascorrere parte della giornata all’aria aperta e godersi così quel sole che per lungo tempo si era fatto desiderare, e che sembrava aver finalmente spinto gli animali ad abbandonare nidi e tane in cerca di cibo. Oscar non aveva sprecato colpi, abbattendo la selvaggina senza difficoltà grazie ad una mira infallibile esercitata per anni proprio nella tenuta di casa, sparando alle bottiglie vuote che André le lanciava in aria: lepri, pernici e quaglie erano così andate a costituire velocemente un bel bottino, che forse sarebbe già stato sufficiente per integrare le pietanze dell’indomani e spingerli a tornare a casa. Peccato che nessuno dei due avesse voglia né desiderio di rientrare a palazzo.
    Ad André era già parsa una vera fortuna la breve licenza che erano riusciti ad ottenere per trascorrere la Pasqua in famiglia, frutto forse del periodo relativamente tranquillo ora che si era a meno di un mese dall’apertura degli Stati Generali, prevista per il 5 maggio. E quella mattinata trascorsa in compagnia di Oscar era stata la ciliegina sulla torta, tanto inattesa quanto gradita. Non passava giorno senza che la vedesse in caserma e per questo ringraziava il cielo - ed Alain – di avergli dato la possibilità di arruolarsi e rimanerle accanto pur avendo abbandonato il suo ruolo di attendente, ma era innegabile quanto gli mancasse la quotidianità di quella che era sempre stata la loro vita insieme, prima di unirsi ai soldati della Guardia. Anche solo cavalcare fianco a fianco, da soli, come stavano facendo in quel momento, gli sembrava una benedizione, dopo tutti quei mesi in cui l’aveva seguita come un semplice soldato tra i tanti che obbedivano ai suoi ordini. Poteva finalmente godere della sua compagnia senza doverla condividere con altri, ed osservare in silenzio come la semplice lontananza dal comando e dalla routine militare avesse già contribuito a mitigare quell’espressione così dura e severa che sempre la caratterizzava da quando aveva indossato l’uniforme blu. Ora invece i suoi lineamenti apparivano distesi sotto i raggi tiepidi del sole che filtravano attraverso i rami degli alberi, ed il suo sorriso dolce, che per mesi era stato soltanto un ricordo, faceva capolino sempre più spesso tra quel gioco veloce di luci ed ombre, scaldandogli ogni volta il cuore. Anche se solo per una manciata di giorni, avrebbe forse potuto riavere la sua Oscar, con cui allenarsi a fil di spada nell’ultimo chiarore del pomeriggio, o discorrere di letteratura in compagnia di un buon cognac, o magari da sfidare ad una partita a scacchi, come non facevano ormai da troppo tempo. Aveva perso tutto questo e molto di più nell’ultimo anno: persino un unico un momento trascorso da solo con lei sarebbe stato pari ad un piccolo tesoro, da custodire con cura nei mesi a venire. Rincuorato da questo pensiero, André non poté evitare di sorridere mentre guardava l’amore della sua vita procedere al passo dinnanzi a lui.
    Perfettamente a suo agio in sella a César, Oscar si sentiva finalmente rilassata, lontano dalla confusione che regnava a casa e che li attendeva alla fine di quella battuta di caccia improvvisata. Il maltempo degli ultimi giorni le era pesato più del solito, forse anche per l’inconsueta monotonia che scandiva di recente la vita in caserma: tutto sembrava essere come sospeso, in attesa dell’apertura degli Stati Generali, un evento in cui la maggior parte dei francesi riponeva grandi speranze. Anche per questo motivo aveva richiesto una piccola licenza in occasione della Santa Pasqua: sapeva che un periodo, seppur breve, in famiglia, sarebbe stato come una boccata di aria fresca e l’avrebbe aiutata ad affrontare le difficoltà che, sentiva, di certo non sarebbero mancate nelle settimane successive. Ma sapeva altresì che non sarebbe stato un vero ritorno a casa senza André. Anzi, senza il suo André, come ormai lo chiamava dentro di sé, da quella sera di quasi un anno prima, quando il timore di averlo perduto per sempre aveva finalmente dato voce al suo cuore. Il bisogno di averlo vicino non aveva fatto che crescere dopo l’aggressione subita a Saint Antoine, al punto da portarla a considerare sotto una luce del tutto nuova quel momento di sconvolgente rivelazione vissuto in un vicolo di Parigi: possibile che si fosse resa conto solo allora di amare André? Eppure tra tanti soldati aveva scelto proprio lui perché la accompagnasse a ringraziare il generale Bouillé per la sua intercessione a favore di Lassalle. Non Alain, e neppure lo stesso Lassalle: aveva voluto André. Ed anche in precedenza, in occasione dell’attentato al principe spagnolo, lo aveva voluto con sé durante il sopralluogo nel maniero abbandonato, e André come sempre era rimasto al suo fianco, rischiando persino di venire ferito a causa dell’esplosione che in seguito li aveva bloccati sulla riva del fiume. Di certo le era venuto spontaneo rivolgersi a lui poiché sapeva di potersi fidare ciecamente…ma non si era trattato soltanto di fiducia, ormai ne era sicura. Aveva bisogno di lui semplicemente perché lo amava: era questa l’unica verità. E pensare a quanto poco avesse gradito il suo arruolamento tra i soldati della guardia! Mentre adesso le era insopportabile anche il solo pensiero di non averlo nella sua vita: chissà da quanto tempo il suo cuore sapeva invece di battere soltanto per lui…
    Si volse istintivamente cercando il suo sguardo quando si rese conto di averlo superato di poco. André si lasciò catturare dai suoi occhi fiordaliso e le sorrise di rimando: vederlo così sereno le colmò l’anima di un’improvvisa tenerezza. In quell’istante ebbe l’assoluta certezza di averlo amato da sempre.
    - Oscar, credo si stia facendo un po’ tardi. La selvaggina che abbiamo già catturato dovrebbe bastare.
    - Sì, hai ragione André. Speravo di prendere qualcosa di più pregiato per fare contenta Nanny…
    Non appena ebbe pronunciato le ultime parole, dal folto del fogliame si levarono d’improvviso due fagiani, bellissimi nel loro elegante piumaggio. Accortasi immediatamente del movimento alle sue spalle, Oscar si girò di scatto verso gli uccelli, prendendo al contempo la mira con il fucile che stringeva in mano: bastò un solo colpo per abbattere uno dei due esemplari, che cadde a peso morto in un punto imprecisato oltre gli alberi davanti a loro.
    - Bravo, Oscar! Un centro perfetto anche questa volta! Aspettami qui mentre vado a recuperare la tua preda!
    Detto questo, André smontò da cavallo, ma prima di allontanarsi scambiò il proprio fucile con quello di lei, che era ormai scarico. Si avviò quindi inoltrandosi tra la vegetazione a lato del sentiero su cui si trovavano, fino a sparire dalla vista in pochi secondi.
    Oscar alzò il viso verso il cielo terso, le palpebre socchiuse per lasciare che il sole le scaldasse la pelle: la mattinata si stava rivelando più piacevole del previsto. Poi qualcosa passò velocemente sopra di lei, proiettando per un istante un’ombra che la spinse a riaprire gli occhi: un altro fagiano stava volando via, seguendo la medesima traiettoria del suo sfortunato predecessore. Portò rapida il calcio del fucile alla spalla destra, pronta a prendere la mira, ma prima di riuscire a premere il grilletto, inaspettatamente César si imbizzarrì, alzandosi con forza sulle zampe posteriori: colta alla sprovvista e senza alcuna presa sulle redini, la giovane venne sbalzata con facilità dalla sella. Mentre rovinava a terra, il piede sinistro le rimase incastrato nella staffa in una posizione innaturale: fu questione di pochi secondi prima che il cavallo, con uno scarto all’indietro, la liberasse, ma sufficienti a strapparle un lamento per la fitta che avvertì alla caviglia. Il fucile le scivolò dalle mani e toccò il terreno poco prima di lei: l’impatto con il suolo fece partire l’unico colpo in canna. Oscar finì seduta in malo modo, le terga doloranti per la botta appena incassata, le braccia a sostenerla in un primo maldestro tentativo di rialzarsi mentre cercava di capire cos’avesse spaventato a tal punto César, di norma così tranquillo. Fu allora che lo vide, anzi, che la vide, a giudicare dai quattro piccoli fermi dietro di lei: un cinghiale che le apparve a dir poco enorme dalla prospettiva in cui si trovava, e che la fissava con uno sguardo apertamente ostile. Restò immobile trattenendo quasi il fiato: sapeva che qualsiasi movimento inconsulto avrebbe potuto spingere la bestia a caricarla, rischiando così la propria incolumità. I cinghiali potevano essere molto pericolosi ed arrivare persino ad uccidere un uomo con una certa facilità, specie se impossibilitato a fuggire.
    Ad Oscar parve di essere rimasta così per un tempo indefinito, con quegli occhi scuri ed immobili, pericolosamente inchiodati nei suoi, e il silenzio interrotto soltanto dallo sbuffare minaccioso che usciva dal grugno feroce. Impossibile raggiungere il fucile in tempo utile, e comunque le sarebbe servito a ben poco essendo ormai scarico. César era troppo lontano per cercare di rimontare in sella: qualsiasi opzione le balenasse in mente, veniva scartata immediatamente, mentre il cinghiale sembrava quasi soppesare con la stessa accortezza la sua prossima azione. Poi udì la voce di André chiamarla per nome e farsi sempre più forte mano a mano che si stava avvicinando. L’animale fu sul punto di avanzare quando venne attirato dal movimento della boscaglia, attraverso cui André si faceva largo con forza. E dovette considerare questa nuova presenza un pericolo sufficiente per la sua prole, poiché invece di balzare in direzione di Oscar, arretrò di quel poco che bastò per spingere i piccoli nella vegetazione dietro di loro, seguendoli immediatamente finché tutti scomparvero da dove erano venuti.
    André aveva individuato il fagiano in una piccola radura a circa un centinaio di metri da dove Oscar era rimasta con i cavalli. Nel momento in cui si chinò per recuperarlo da terra, sentì chiaramente uno sparo provenire da dietro le sue spalle, ma non vide alcun uccello cadere dal cielo: forse Oscar aveva sparato ad una lepre o ad un capriolo, tuttavia era strano non avvertire alcun tipo di rumore dopo quel fragore improvviso. Sul bosco sembrava essere calata una quiete innaturale. La sensazione che potesse essere accaduto qualcosa di grave gli provocò un brivido freddo lungo la schiena, facendogli rizzare i capelli alla base della nuca. E se Oscar avesse invece sparato per difendersi? Lasciò perdere il fagiano e iniziò a camminare velocemente, accelerando il passo sino a ritrovarsi a correre verso il punto da cui era partito. Prese a chiamarla più e più volte, con insistenza, mentre il cuore pareva scoppiare in risposta al silenzio in cui andava a spegnersi la sua voce. Perché mai Oscar non parlava? Cosa le era successo? Si mise quasi a lottare con gli ultimi cespugli per l’urgenza con cui cercava di arrivare da lei, fino a quando riuscì finalmente ad individuarla.
    Oscar era seduta sull’erba, le lunghe gambe semidistese davanti a lei, le mani appoggiate a terra, poco dietro il bacino, e gli occhi puntati verso il basso, nella vegetazione ai suoi piedi. André colse con la coda dell’occhio, alla sua destra, il movimento che sembrava averne ipnotizzato lo sguardo, ma non gli badò più di tanto poiché tutta la sua attenzione era per lei: solo quando capì che le sue condizioni non erano gravi, tornò a respirare. César si trovava a pochi metri di distanza, doveva essere caduta da cavallo per quanto potesse sembrare impossibile conoscendo la sua abilità in sella. Si inginocchiò davanti a lei, mettendole le mani sulle spalle per assicurarsi che fosse tutto a posto.
    - Oscar! Stai bene? Sei ferita?
    Appena sparì anche l’ultimo movimento tra il fogliame, Oscar sentì come una stretta allentarsi nel petto. Alzò il viso verso di lui, visibilmente sollevata, sforzandosi di concentrarsi su ciò che le stava chiedendo.
    - No, non credo… César si è imbizzarrito perché dai cespugli è sbucato un cinghiale. Io stavo mirando ad un altro fagiano e sono stata colta di sorpresa. Sono finita sull’erba ancor prima di poter reagire…
    Non appena udì la parola “cinghiale”, André si guardò intorno con fare allarmato, la mano a cercare la pistola carica all’interno della giacca marrone – una precauzione che portava sempre con sé da quando erano stati aggrediti a Parigi. Non vide però traccia di alcun pericolo imminente.
    - Tranquillo, è scappato non appena ti ha sentito arrivare. Credo fosse una femmina perché aveva dei piccoli dietro di sé. Probabilmente è grazie a loro se non sono stata attaccata.
    Cercò di sorridergli quando vide la sua espressione preoccupata: forse accennare ad un attacco non era il modo migliore per rassicurarlo. Si sforzò di mantenere un tono divertito.
    - Davvero, André, sto bene. Un po’ ammaccata e magari un tantino ferita nel mio orgoglio di esperta cavallerizza, ma non ho niente di rotto.
    André non poté trattenere un sorriso, segno evidente che la tensione era ormai svanita. Si rimise in piedi, tendendole la mano pur sapendo che non l’avrebbe afferrata.
    - Direi sia proprio il caso di rientrare, adesso. Recupereremo il fagiano lungo il tragitto. Ce la fai ad alzarti?
    Oscar piegò la gamba destra puntellandosi con le braccia, prima di tirare verso di sé anche l’altra e fare forza per sollevarsi da terra.
    - Certo che ce la faccio! Ti dico che non ho niente di rot- Ahi!
    Le bastò caricare il peso sul piede sinistro perché una fitta lancinante alla caviglia le spezzasse il fiato, costringendola ad accasciarsi a terra. Il dolore era troppo intenso per poterlo nascondere ad André, che in un attimo le fu di nuovo accanto, chinandosi davanti a lei sull’erba.
    - Oscar! Ma allora ti sei ferita! In che punto? Il ginocchio? Il piede?
    - No… La caviglia. Sono rimasta incastrata nella staffa quando César mi ha disarcionata. Solo per pochi secondi, ma a quanto pare sufficienti per fare qualche danno…
    André poteva leggerle in viso le tracce di quello spasimo improvviso, nascoste nella piccola piega in mezzo alle sopracciglia ancora contratte. Le sollevò piano la gamba sinistra, intenzionato a verificare fino a che punto si fosse fatta male.
    - Lascia che dia un’occhiata, d’accordo? Qualsiasi sforzo potrebbe peggiorare la situazione.
    Oscar annuì in risposta, mentre André già si apprestava a liberarla dallo stivale prima ancora di avere la sua approvazione, preoccupato che potesse aver involontariamente sminuito la gravità dell’incidente. Riuscì a toglierlo tirandolo con una mano da dietro il tallone, lasciando l’altra, ben salda, sotto la piega del ginocchio, a sorreggere la gamba perché non ricadesse a terra. Una volta sfilata la calzatura, le fece appoggiare il piede sulla coscia in modo da poterle arrotolare il pantalone sopra il polpaccio ed abbassarle la calza fino a levarla del tutto. La caviglia era visibilmente arrossata e iniziava già a gonfiarsi, ma sapeva che una semplice osservazione non sarebbe stata sufficiente ad accertarsi che non vi fossero fratture.
    - Devo controllare che non ci siano ossa fuori posto… Cercherò il più possibile di non farti male, va bene?
    Questa volta fissò lo sguardo in quello di lei e rimase in attesa, finché non vi lesse piena fiducia e capì di poter procedere ancor prima di udire la sua risposta.
    - Sì…fai pure.
    André prese a tastarle piano la caviglia, limitando il più possibile la pressione delle dita nonostante il gonfiore rendesse difficile avvertire eventuali dislocazioni. Fortunatamente non sentì nulla di preoccupante, così decise di ampliare la verifica, scendendo prima sul collo del piede, per poi risalire lungo il polpaccio ed assicurarsi che tibia e perone non fossero stati coinvolti. Nel timore di provocarle dolore alzò il viso per guardarla: Oscar aveva gli occhi chiusi, il volto leggermente arrossato ed il labbro inferiore catturato tra i denti. Quel particolare, dettato certamente dalla sofferenza che doveva causarle la sua indagine, gli apparve così dannatamente sensuale da provocargli una fitta all’inguine. Si vergognò della risposta incontrollata del suo corpo proprio nel momento in cui Oscar si sforzava di sopportare in silenzio, eppure allo stesso tempo non poteva ignorare quanto fosse meravigliosa anche solo la sensazione della sua pelle sotto le dita, così liscia e morbida al tatto da sembrare seta. La tentazione di trasformare il proprio tocco in un’aperta carezza, e lasciarlo risalire liberamente lungo la coscia, diventava sempre più pressante. Pareva trascorso un secolo dall’ultima volta in cui, come attendente, l’aveva aiutata ad indossare la divisa delle Guardie Reali: un rito quotidiano, ripetuto in modo pressoché identico per anni ed anni, e tuttavia così unico e prezioso per tutte le volte in cui gli aveva dato la possibilità di sfiorare il suo corpo anche solo per pochi istanti, ma sufficienti ad imprimere nella sua carne la voglia di lei. Deglutì, cercando di allontanare simili pensieri lascivi: doveva invece sbrigarsi a terminare il più in fretta possibile e riportarla a casa quanto prima perché venisse visitata da un medico.
    Oscar aveva faticato a non ritrarre il piede appena André aveva dato il via a quella specie di ispezione improvvisata. La caviglia le faceva molto più male di quanto volesse far credere ed avrebbe preferito che non venisse sollecitata in alcun modo. Tuttavia il dolore fu questione di attimi, poiché la delicatezza ed il riguardo con cui lui la stava toccando trasformarono ben presto il disagio in un sottile ed inatteso piacere. Le mani di André erano caute ma esperte, sapevano come individuare l’ossatura nonostante l’evidente infiammazione, e soprattutto erano calde e gentili: era facile illudersi che la stesse accarezzando. Si lasciò trasportare dal suo tocco chiudendo gli occhi, per godere in silenzio delle sensazioni così piacevoli che sembravano emanare da quelle dita. Ma quando le sentì risalire lungo il polpaccio, quel senso di benessere si tramutò ben presto in tutt’altro… Era come se i polpastrelli di André fossero in grado di risvegliare la sua pelle, regalandole una pioggia di brividi ovunque si posassero. Un desiderio sconosciuto prese a salire dentro di lei, veloce ed inesorabile, portandola a desiderare che le sue mani non si fermassero mai, che potessero correre libere su tutto il corpo... Strinse il labbro inferiore tra i denti per non lasciare che un gemito le sfuggisse dalla gola, mentre non poté nulla per il calore che sentì avvamparle sul viso. Fu la voce di Andrè, leggermente roca, a riportarla alla realtà, spingendola a riaprire gli occhi.
    - Io…credo sia tutto a posto, Oscar. Ma è meglio che ti veda un dottore. Vieni, ti aiuto ad alzarti.
    Le ci volle un attimo per riprendere il controllo di sé e nascondere il turbamento che ancora le agitava i sensi. Guardò la mano che André le stava porgendo poiché incrociare i suoi occhi in quel momento sarebbe stato troppo imbarazzante, ed accettò il suo aiuto, riuscendo a rimettersi in piedi grazie al suo sostegno. Cercò di non appoggiare il piede sinistro tenendo il ginocchio piegato, ma subito le fu chiaro che sarebbe stato impossibile rimanere in equilibrio senza l’intervento di André, il quale, non appena vide che era in difficoltà, le si mise a fianco facendole scivolare il braccio intorno alla vita.
    Fu una fortuna che Oscar non avesse sollevato lo sguardo verso di lui, altrimenti non le sarebbe sfuggito il sorriso che gli illuminò il volto quando si ritrovò quasi ad abbracciarla: avrebbe potuto fraintendere e pensare che la stesse canzonando. Invece…fosse stato per André, l’avrebbe addirittura sollevata di peso, prendendola in braccio per portarla fino al cavallo, così da poterla stringere a sé ancora di più. No, ma che andava a pensare! Oscar non glielo avrebbe mai permesso, non era decisamente nella sua indole recitare la parte della damigella da salvare! Gli toccava accontentarsi di quel contatto fortuito, e fu forse la consapevolezza di quanto poco sarebbe durato, a spingerlo a tenerla ancor più vicino, facendola aderire al fianco. Poi chiamò César con un fischio in modo che si avvicinasse, così che il tragitto da percorrere zoppicando fosse per lei il più breve possibile.
    Con il braccio di lui a cingerle la schiena ed il suo busto a sorreggerla, Oscar scongiurò qualsiasi sbilanciamento e soprattutto poté evitare anche solo per sbaglio di caricare il peso sulla caviglia malandata. Volse il viso verso quello di André, mormorando un ringraziamento, e fu allora che percepì il suo odore, così familiare e rassicurante, così unicamente suo. Erano passati mesi dall’ultima volta in cui lo aveva sentito, eppure le era bastato un istante per riconoscerlo: neppure il profumo di bucato, che ancora emanava dai suoi abiti, avrebbe potuto confonderla. Un giorno, forse, sarebbe stata in grado di descriverlo a parole…
    Si lasciò condurre per pochi passi fino al cavallo, felice di essere così vicina ad André da poterne sentire il calore attraverso i vestiti. Per un attimo le sembrò che proprio per questo la caviglia già le dolesse un po’ meno. César si era ormai completamente tranquillizzato e rimase fermo mentre lui la aiutava ad issarsi in sella, sempre attento che in nessun modo il piede sinistro potesse subire altri traumi, seppur lievi. Attese che Oscar si sistemasse per darle le redini, poi vide che cercava di chinarsi per raggiungere il pantalone, che era rimasto sollevato scoprendo il polpaccio.
    - Aspetta! Ci penso io, non ti sbilanciare.
    Non ci volle molto ad André per srotolare la stoffa, ed il gesto che seguì, tanto frequente e cameratesco negli anni dell’adolescenza quanto eccessivamente intimo nel loro nuovo modo di rapportarsi, gli venne così spontaneo che neppure si rese conto del proprio slancio: appoggiò infatti una mano sulla gamba di Oscar, stringendola appena in un punto poco al di sopra del ginocchio, solo qualche secondo prima di sorriderle soddisfatto del proprio operato.
    - Ecco fatto. Adesso possiamo andare.
    Raccolse infine lo stivale, la calza, ed il fucile, che erano rimasti a terra, e montò a sua volta su Alexandre, prendendo lentamente la via di ritorno verso casa. Non disse altro, convinto che Oscar fosse troppo indisposta per chiacchierare, e lei gliene fu tacitamente grata, poiché le sarebbe riuscito difficile parlare come se niente fosse, quando invece mille farfalle le si agitavano nel petto per la sensazione ancora così vivida e persistente di quella mano calda sulla coscia.

    *****


    Al termine della sua visita il dottor Laçonne confermò ciò che aveva riscontrato André: non c’era nessuna frattura, solo una brutta distorsione. Non vi era nulla che impedisse una perfetta guarigione, a patto che Oscar osservasse un assoluto riposo nei giorni seguenti: niente passeggiate, niente cavalcate, se possibile avrebbe dovuto tenere il piede sollevato anche da seduta. Una diagnosi che anziché rassicurarla, la gettò nello sconforto al pensiero dell’immobilità a cui sarebbe stata condannata per tutta la breve licenza pasquale. Già si immaginava abbandonata sul sofà al pari di una vecchia decrepita, con il parente di turno che, spinto unicamente da un moto di compassione, passava ogni tanto a salutare ed informarsi distrattamente del suo stato, per poi tornare spensierato a divertirsi con il resto della famiglia. Soprattutto le pesava la certezza che André non sarebbe stato affatto al suo fianco: che potesse semplicemente oziare insieme a lei era persino inconcepibile. Le si prospettavano davvero giornate assai tristi…
    Il medico le prescrisse anche alcune gocce di laudano per mitigare il dolore ed aiutarla a dormire, poi le fasciò la caviglia dopo averle applicato un unguento per contrastarne il rigonfiamento, ed infine e se ne andò, augurando a tutti una felice Pasqua. André lo accompagnò al calesse, sollevato al pensiero che la caduta non avesse avuto gravi conseguenze: avrebbe voluto tornare da Oscar per cercare di rincuorarla, poiché non gli era sfuggito quanto si fosse adombrato il suo sguardo nell’udire le parole di Laçonne, tuttavia doveva ancora occuparsi dei loro cavalli, che lo attendevano nelle scuderie. Non poteva immaginare che a quel compito ne sarebbero invece seguiti numerosi altri – la nonna aveva sempre qualcosa da fargli fare! – al punto da tenerlo lontano da lei per il resto della giornata.
    Oscar iniziò ben presto a sperimentare la solitudine a cui l’avrebbe condannata quell’increscioso incidente. Non vide più André, quasi certamente trascinato dalla governante negli ultimi preparativi in previsione dell’arrivo delle sue sorelle, e pur restando seduta con il piede costantemente appoggiato ad un pouf, non sentiva diminuire alcun modo il dolore pulsante alla caviglia, a volte così intenso da impedirle persino di pensare. Decise così di prendere il laudano, che ebbe sì l’effetto sperato sulla sua sofferenza, ma le lasciò una sensazione di torpore e pesantezza che la spinse infine a ritirarsi nella sua camera, dove si addormentò quasi immediatamente, senza neppure aver cenato.

    Continua...

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    2. Parte
    IN VINO VERITAS


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    La domenica di Pasqua si rivelò essere una giornata caotica e al contempo noiosa. L’arrivo degli ospiti provocò un certo fermento, soprattutto per la presenza dei cinque nipoti, tutti ansiosi di rivedere quella zia soldato che nel loro immaginario infantile conservava da sempre un che di eroico. Oscar riuscì a riabbracciare le sorelle e salutare i relativi consorti prima di essere letteralmente investita da mille domande non appena i bambini notarono la caviglia fasciata ed il bastone a cui si appoggiava e grazie al quale era riuscita un po’ a fatica a raggiungere l’ingresso principale del palazzo. Le toccò quindi raccontare immediatamente l’incidente del giorno prima, davanti ad un piccolo pubblico di occhi sgranati e boccucce a O non appena venne introdotto il particolare del cinghiale che per poco non l’aveva aggredita. Tuttavia esaurito lo stupore per quanto accaduto, subentrò ben presto un senso di delusione generale nel momento in cui si resero tutti conto che in quelle condizioni la zia non avrebbe assolutamente potuto tirare di scherma con i più grandi, né suonare al pianoforte per i più piccoli, come sempre aveva fatto in passato. E la cosa non sfuggì in alcun modo ad Oscar, che si sentì ancor più demoralizzata per la propria temporanea invalidità.
    Il pranzo trascorse piacevolmente, in un alternarsi di portate sopraffine e chiacchiere tra familiari ritrovatisi dopo mesi di lontananza. Era bello riunirsi in occasioni così solenni, ma per quanto Oscar ne fosse lieta, le pesava molto di più la mancanza di André al suo fianco, un’assenza purtroppo imposta dalla formalità dell’evento. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter sgattaiolare nelle cucine e consumare anche solo un pezzo di formaggio ed un boccone di pane, ma quanto meno insieme a lui. Senza contare che in tutta la mattinata lo aveva praticamente visto soltanto nel momento in cui erano arrivate le sue sorelle: una presenza quasi sullo sfondo, che subito dopo i saluti si era dileguata per occuparsi di carrozze e cavalli con il garzone delle scuderie. Un dolore sordo in fondo al cuore pareva presagire che non sarebbe stato diverso per il resto della giornata.
    Il pomeriggio la casa si svuotò: i nipoti scalpitavano per stare all’aperto dopo aver mal sopportato il maltempo dei giorni precedenti, e la più grande tra tutti, la piccola Lulù, chiese a gran voce di poter montare Chiron, il vecchio pony con cui Oscar aveva imparato a cavalcare durante l’infanzia. In una manciata di secondi anche i suoi fratelli ed i cuginetti avanzarono la medesima richiesta. Il cavallo era notoriamente mansueto e conosceva i bambini, con i quali aveva sempre dimostrato una pazienza proverbiale, ma Hortense e Josephine, che avevano sempre temuto ogni sorta di animale sin dalla tenera età, diedero il proprio assenso solo a patto che fosse André ad occuparsene, e lui soltanto. Fu così che i timori di Oscar si tradussero in realtà e non ebbe alcuna possibilità di passare un po’ di tempo con lui, neppure a pranzo concluso. Si ritirò allora con non poca fatica nella biblioteca, recuperando le Bucoliche di Virgilio da una delle librerie del padre, sempre ben rifornite di testi classici greci e latini: sperava che la lettura l’avrebbe distratta da quel senso di vuoto che sentiva pesarle sempre più nel petto. Si sedette sul sofà spostando alcuni cuscini per appoggiarsi nel punto in cui lo schienale si incrociava con il bracciolo, e sollevare così la gamba sinistra per infilarne un altro sotto quella stupida caviglia – come ormai l’aveva ribattezzata – augurandosi che le indicazioni del medico servissero davvero ad accelerarne la guarigione.
    Gli schiamazzi dei bambini, che invocavano con insistenza il proprio turno per salire in groppa a Chiron, le giungevano attutiti attraverso le finestre della stanza, insieme al tono pacato di André che cercava di accontentare tutti e al contempo proteggere l’incolumità del vecchio pony. Le sembrava di poterlo vedere, sempre affabile e sorridente, riuscire ad ottenere senza grandi sforzi un minimo di disciplina in mezzo a quelle cinque manine che si agitavano nella speranza di essere scelte per montare in sella. André ci sapeva davvero fare, con i suoi nipoti così come con i cavalli: era impossibile resistere alla sua bontà d’animo. Anche per questo lo amava con tutta se stessa.
    Concentrarsi nella lettura si rivelò presto piuttosto difficile poiché il dolore alla caviglia tornò a tormentarla. Oscar era però decisa a non prendere altro laudano per non ricadere nello stesso torpore del giorno precedente: voleva restare sveglia e lucida, nella vana speranza di riuscire ad incontrare André, anche solo per pochi minuti. Fu invece Antoine, dopo circa un’ora, a fare capolino nella biblioteca, affacciandosi all’uscio per informarsi con una certa noncuranza – proprio come aveva immaginato! – delle sue condizioni. Oscar rispose educatamente, ringraziandolo dell’interessamento ed abbozzando un finto sorriso, che finì per morirle sulle labbra quando udì ciò che il cognato aggiunse subito dopo.
    - Sapete, la piccola Lulù ha avuto un’idea strepitosa, davvero strepitosa! Andremo tutti a far merenda sul prato, la servitù sta già preparando i cestini! La giornata è così bella che è davvero un peccato restare chiusi tra quattro mura! A più tardi, mia cara!
    Oscar non ebbe il tempo di fare alcun commento poiché Antoine si era già dileguato prima ancora che potesse aprire bocca. Avrebbe forse potuto controbattere all’osservazione non proprio carina fatta nei confronti di chi quelle quattro mura era impossibilitato a lasciarle e non per sua volontà, ma neppure la risposta più tagliente sarebbe riuscita a mitigare lo sconforto che subito la colse, al pensiero che sarebbe rimasta sola in casa per tutto il giorno: sola e senza poter vedere André. Si lasciò sprofondare sul sofà, con il libro di Virgilio ormai abbandonato in grembo, augurandosi che un acquazzone imprevisto costringesse tutti a rientrare di gran fretta…salvo poi pentirsi di aver avuto un pensiero così poco caritatevole proprio il giorno di Pasqua.
    Le ore successive trascorsero lente e noiose: Oscar si trovò costretta in un ozio forzato che neppure la letteratura poté alleggerire, poiché il pulsare costante alla caviglia non l’abbandonò mai e finì per trasformare la sua velata malinconia in concreto malcontento. Poi finalmente tutti tornarono a palazzo e per qualche minuto il vociare caotico ed eccitato dei nipoti, corsi dalla zia per raccontarle quanto si fossero divertiti con Chiron all’aria aperta, riuscì a restituirle un briciolo di allegria. Non ebbe bisogno di chiedere dove si trovasse André: era chiaro che il vecchio pony si fosse unito al gruppo per intrattenere i bambini, perciò in quel momento si stava certamente occupando di lui nelle stalle, premiandolo con qualche pezzo di mela per la pazienza e la bontà dimostrate per l’intero pomeriggio.
    Così come erano arrivati, tutti sparirono altrettanto rapidamente per prepararsi in previsione della cena. Anche Oscar si ritirò con una certa difficoltà nella sua stanza: se le sue condizioni glielo avessero consentito, sarebbe andata a cercare André fino alle scuderie, ma si sentiva esausta per aver combattuto tutto il giorno contro il dolore, senza aver ottenuto per altro la benché minima vittoria. Era stanca e soprattutto svogliata all’idea di dover presenziare ad un nuovo banchetto, sapendo che anche in questa occasione André non si sarebbe seduto tra gli invitati. Tuttavia starsene chiusa in camera sarebbe stata un’alternativa ben peggiore, e a dirla tutta anche un gesto poco gentile nei confronti delle sorelle, che vedeva ormai solo in occasione delle festività comandate. Una delle cameriere le aveva lasciato la camicia di seta lilla stesa sul letto: si avvicinò alla toeletta vicino alla consolle aiutandosi con il bastone, così da potersi rinfrescare un po’ prima di cambiarsi. Con le mani si sciacquò il viso, guardandosi allo specchio prima di detergersi con uno dei panni puliti e ben ripiegati di fianco alla bacinella: le gocce, che scendevano veloci sulla pelle, parvero alleviarle per un istante la spossatezza, riuscendo con la loro freschezza ad alimentare un barlume di speranza in mezzo al suo malumore. Forse André l’avrebbe raggiunta più tardi per un bicchiere di liquore, come era accaduto tante volte nel passato di quella che sembrava ormai la vita di un’altra persona: non doveva scoraggiarsi, non era da lei. La licenza era iniziata così bene…e in fin dei conti non era ancora terminata.
    La cena fu più breve del previsto, almeno per Oscar. Ebbe la sfortuna di sedersi proprio di fronte ad Antoine, che doveva essersi evidentemente contenuto nei pasti precedenti – merenda compresa – a giudicare dalla quantità di cibo che riuscì ad infilarsi ininterrottamente in bocca, e di conseguenza anche nello stomaco: un pozzo senza fondo fu la definizione che le balenò in mente non appena gli fu servito l’ennesimo piatto di selvaggina. Oscar si era seduta a tavola già priva di appetito, e vedere il cognato ingozzarsi a più non posso non contribuì a farglielo tornare. Le cadde lo sguardo sui bottoni del suo panciotto, così pericolosamente vicini al punto critico che per un attimo ebbe timore per i calici di cristallo di famiglia, bersaglio fin troppo facile nel caso in cui le cuciture avessero ceduto e fossero schizzati via come proiettili. L’idea che potesse realmente accadere le strappò un sorriso, nascosto repentinamente con il tovagliolo. Se ci fosse stato André avrebbe subito cercato il suo sguardo, certa di ritrovarvi rispecchiata la stessa impertinente complicità…ma non vi erano occhi color smeraldo pronti ad intercettare i suoi. Sentì una stretta in fondo al cuore ed il desiderio incontenibile di alzarsi ed andarsene, ma riuscì a resistere per educazione fino al momento del dessert: quando vide Antoine tuffare il cucchiaio nella crema rovesciata al caramello, infilandolo fino a metà manico, fu davvero troppo per il poco cibo che era riuscita ad ingerire. Un senso di nausea la colse all’improvviso: dichiarò di aver bisogno di distendere la gamba e si congedò dai presenti, allontanandosi con tutta la fretta che il bastone le poteva concedere.
    Oscar evitò il salotto rosso poiché sapeva che dopo cena vi si sarebbero riuniti i suoi cognati insieme a suo padre, e si diresse invece verso il salottino azzurro, dove lei e André avevano condiviso tanti bei momenti prima di entrare nei soldati della Guardia: qualcosa le diceva che, se mai fosse andato a cercarla, avrebbe certamente controllato lì. Nonostante la piccola bugia appena raccontata, sentiva davvero la necessità di appoggiare il piede sinistro: guardò il caminetto, dove ardeva un bel fuoco scoppiettante, intenzionata ad occupare una delle comode poltrone in velluto rosso su cui aveva trascorso gran parte delle sue serate a casa, sorseggiando un buon cognac o giocando a scacchi con André. Sul tavolino, posizionato nel mezzo, era già predisposta una scacchiera, con tutti i pezzi bianchi e neri ben in ordine, quasi attendesse entrambi per una nuova partita. Chissà… Prima però qualcosa da bere, per contrastare la nausea che ancora non l’aveva abbandonata: prese quindi dal mobiletto dei liquori una bottiglia di sherry, che nessuno aveva ancora aperto, e due bicchieri, nella speranza di non bere da sola. Raggiunse infine la poltrona, lasciandosi quasi cadere sul comodo sedile in modo da poter usare il pavimento, rivestito da un morbido tappeto, come sostegno per il piede. Realizzò in quello stesso istante che finalmente il dolore alla caviglia iniziava ad essere meno intenso: forse per l’indomani avrebbe potuto considerarlo poco più di un fastidio. Si versò quindi un’abbondante quantità di sherry, che bevve in pochi sorsi abbandonandosi contro lo schienale della poltrona, il viso girato verso il calore invitante delle fiamme e gli occhi chiusi, per meglio assaporare il gusto dolce e fruttato del vino che le accarezzava voluttuosamente il palato.

    * * * * *


    La giornata di André era stata piuttosto piena: prima si era occupato della carrozza di Josephine insieme al suo cocchiere, perché una delle ruote aveva subito un danno lungo il tragitto, e c’era voluta tutta la mattinata per riuscire a ripararla. Poi aveva avuto giusto il tempo di mangiare un boccone in cucina, in mezzo al viavai della servitù indaffarata per il pranzo pasquale, prima che le sorelle di Oscar richiedessero la sua presenza per esaudire il desiderio dei bambini di montare il vecchio Chiron. Aveva sperato di poter rientrare una volta che i piccoli si fossero stancati, come spesso accadeva con qualsiasi tipo di gioco scegliessero, in modo da poter passare il resto del pomeriggio insieme ad Oscar, che aveva intravisto appena quando gli ospiti erano giunti a palazzo, ma sfortunatamente la piccola Lulù se ne era uscita con la trovata della merenda all’aperto, e lui si era ritrovato a dover seguire tutti gli altri, proprio come il pony di famiglia. Una volta tornati a palazzo, aveva quindi dovuto occuparsi di lui nelle scuderie, dove almeno nessuno era più venuto a cercarlo per affidargli una nuova incombenza. Si era perciò ripromesso di andare da Oscar subito dopo cena, per assicurarsi innanzitutto che la sua caviglia stesse migliorando, e poi per tenerle compagnia almeno per il resto della serata. Immaginava quanto potesse essersi annoiata dopo aver trascorso diverse ore confinata tra le mura di casa: da sempre l’inattività le stava stretta come un paio di stivali bagnati.
    Fu con questo proposito che André lasciò le scuderie, dirigendosi verso le cucine, dove consumò il suo pasto in completa solitudine, nonostante la nutrita presenza di camerieri e sguattere alle prese con il secondo banchetto della giornata: si sarebbe sentito solo anche in mezzo a migliaia di persone, senza Oscar seduta al suo fianco a condividere il cibo con lui... Quante volte lo avevano fatto, come se fosse la cosa più naturale al mondo! Erano ricordi così piacevoli e preziosi, eppure li sentiva pungere come piccole spine in fondo all’animo perché parte di un passato ormai lontano, frammenti di un’altra vita...
    - Ma tu guarda che spreco!
    La voce di Sophie, una delle servette di Hortense, lo destò dalle sue riflessioni.
    - Se avessimo noi la possibilità di mangiare tutto questo ben di Dio, non ne avanzerebbe nemmeno una briciola! E invece madamigella Oscar neanche ha voluto toccare il suo dolce al caramello! Si è alzata all’improvviso lasciando il tavolo come se le andasse a fuoco la sedia!
    E con un gesto plateale indicò la coppa piena di crema, che uno dei camerieri aveva appena appoggiato sul tavolo in mezzo alle stoviglie sporche. Invece di condividere il suo disappunto, André sorrise, allontanando da sé il piatto ormai vuoto: se Oscar non era più impegnata con la cena, poteva andare a cercarla anche subito. Lasciò quindi lo sgabello su cui sedeva, per dirigersi con una certa fretta - prima che la nonna potesse intercettarlo e spedirlo a fare altro - verso una delle sue stanze preferite: sperava di trovarla nel luogo in cui avevano trascorso molte serate piacevoli, prima che lei lasciasse la Guardia Reale.
    Non si era sbagliato, lo capì appena si affacciò alla porta del salottino azzurro e la vide, seduta in una delle poltrone poste davanti al caminetto. Oscar guardava distrattamente nel fuoco, lo sguardo a rincorrerne l’imprevedibile guizzare, simile ad una danza frenetica e senza fine: il bagliore delle fiamme dipingeva tinte morbide sulla sua pelle, come se un pittore l’avesse ritratta usando i colori tenui di un tramonto d’inverno. Per un istante fu tentato di rimanere semplicemente ad ammirarla per il resto dei suoi giorni, poi il desiderio di passare finalmente un po’ di tempo con lei ebbe la meglio su qualsiasi altro pensiero.
    - Buonasera Oscar! Come stai? Come va la caviglia?
    Appena udì la sua voce, Oscar sentì tutto il peso della solitudine abbandonarla all’improvviso, quasi la sola presenza di André fosse in grado di spazzare via il tedio ed il malumore che l’avevano perseguitata per gran parte della giornata. Volse il viso verso di lui, lasciando che il più luminoso e spontaneo dei sorrisi ne accogliesse l’arrivo.
    - André!
    E bastò quell’espressione di pura gioia per rubargli un battito dal petto, privandolo per un attimo della parola: Oscar era bella come la luce all’alba, come il nuovo giorno venuto a rischiarare l’oscurità. Dio, quanto gli era mancata!
    - Inizio a stare un po’ meglio. A quanto pare il dottor Laçonne non aveva tutti i torti: riducendo al minimo qualsiasi movimento del piede, il dolore si è fatto meno intenso. Spero diminuisca sempre più.
    Era la migliore delle notizie, André non poteva esserne più lieto.
    - Beh è fantastico! Direi allora che è il caso di brindare, no?
    Lo sguardo gli cadde sulla bottiglia appoggiata sopra il tavolino, e sui calici che le facevano compagnia…due, come se Oscar sapesse che qualcuno l’avrebbe raggiunta. Il pensiero che avesse preparato l’altro proprio per lui gli scaldò il cuore come nessun fuoco avrebbe mai potuto fare: forse anche lei aveva nostalgia delle loro serate di un tempo…
    - Cosa stai bevendo di buono? Posso servirmi?
    Prese la bottiglia e si riempì il bicchiere, mentre l’aroma del vino già gli solleticava le narici.
    - Certo, fai pure. È sherry. Ho trovato una bottiglia ancora da aprire, certamente recuperata dalle cantine in onore degli ospiti.
    Metà del vino era già stato consumato, ma André non fece alcun commento. Alzò invece il calice verso di lei per un brindisi.
    - Ad una pronta guarigione! – e bevve un sorso, assaporandone immediatamente l’ottima qualità: non si sarebbe aspettato niente di meno in casa Jarjayes.
    Prese quindi posto nella poltrona di fronte a lei, finalmente libero di dedicarle tutto il suo tempo.
    - E com’è stata la tua giornata, Oscar?
    Vuota ed interminabile, senza di te: fu la prima risposta che le venne in mente, e che trattenne a stento dentro di sé.
    - Abbastanza noiosa, direi. Certamente ben diversa dalla tua… Sei riuscito a sopravvivere ai miei nipoti, vedo…
    André non poté evitare di alzare gli occhi al cielo né di reprimere un sorriso ripensando alla vivacità pressoché incontenibile dei bambini durante tutto il pomeriggio.
    - Beh, sono piuttosto impegnativi, lo devo ammettere. In loro compagnia non c’è davvero tempo di annoiarsi! La piccola Lulù in particolare...credo abbia preso da tuo padre, sai: una vera predisposizione al comando! Ha deciso lei chi doveva montare Chiron e quando, imponendo con un certo cipiglio una serie di regole ferree a quello che doveva essere un semplice gioco. Meno male che Chiron è stato un campione di pazienza!
    Era divertente starlo ad ascoltare ed immaginarsi tutta la scena. Oscar si ritrovò a sorridere insieme a lui.
    - A proposito di gioco… Vedo qui sul tavolo una scacchiera in perfetto ordine… Ti andrebbe di fare una partita?
    - Certo! – rispose Oscar con un improvviso brillio negli occhi – Molto volentieri.
    Ed allungò una mano fino alla bottiglia per riempire di nuovo il suo calice di sherry, mentre André invertiva la disposizione della scacchiera affinché lei avesse i bianchi, come sempre.
    Toccava ad Oscar muovere per prima. Appoggiò i gomiti ai braccioli della poltrona, incrociando le mani sotto il mento, lo sguardo serio a fissare attentamente la disposizione dei pezzi. Era sempre stato così, sin da ragazzini: Oscar contemplava la scacchiera quasi fosse un campo di battaglia su cui far muovere un esercito, anziché delle pedine, così che ogni partita si trasformava in una vera e propria prova di strategia militare. Forse anche per questo André non era mai riuscito a vincere, nemmeno una sola volta.
    Scelse il pedone davanti all’alfiere di destra e lo fece avanzare di due caselle. Poi guardò André di sottecchi, studiandolo come se stesse già valutando mentalmente ogni possibile contromossa, in modo da prevenire qualsiasi attacco. E André adorava quello sguardo di sfida che sembrava bruciare di fuoco blu e che trovava incredibilmente seducente: Oscar nemmeno immaginava l’effetto che riusciva ad avere su di lui… Era come se quegli occhi arrivassero a toccargli la pelle, regalandogli brividi lungo la schiena.
    Cercò di riprendere il controllo dei suoi pensieri: doveva muovere la sua pedina e sforzarsi di ritrovare un minimo di concentrazione. Allungò la mano per spostare il pedone davanti al cavallo di sinistra, ma nel momento in cui fece per sollevarlo, venne raggiunto dalla voce della nonna, e il suo gesto rimase a metà.
    - Oh, André! Eccoti finalmente! Ti ho cercato per tutta la casa! Il generale ha chiesto di te, vai subito nel salotto rosso. Sbrigati!
    Se ne andò dopo essersi affacciata alla porta giusto il tempo necessario per la sua breve ma perentoria convocazione. André espirò con più forza di quanto avrebbe voluto, le dita ormai lontane dalla scacchiera: qualsiasi speranza di poter trascorrere il resto della serata con lei si era sbriciolata sotto il peso di quelle poche parole. Guardò Oscar che lo fissava senza dire nulla, incredula che la partita fosse già finita prima ancora di cominciare: avrebbe voluto restare, più di ogni altra cosa, e invece si ritrovò ad aprire le mani in segno di resa.
    - Mi dispiace Oscar, davvero. Spero di sbrigarmi in poco tempo.
    In realtà non credeva fino in fondo alle proprie parole, e neppure lei. Si alzò dalla poltrona senza riuscire ad aggiungere altro, poi si voltò e in pochi secondi uscì dalla stanza, portando via con sé tutta l’allegria che per qualche minuto aveva cancellato il tedio soffocante delle ultime ore.
    Osca sbuffò sonoramente lasciandosi cadere contro lo schienale. Sembrava che tutto, in quella licenza pasquale, le remasse contro. Cosa diavolo voleva suo padre da André? Non potevano lasciarlo tutti in pace, almeno per qualche ora? E lei? Possibile che fosse destinata a rimanere di nuovo sola? Al pensiero dell’insofferenza patita durante tutto il pomeriggio sentì montarle dentro una rabbia che in un attimo spazzò ogni traccia di sconforto. Non avrebbe sopportato di restare di nuovo isolata in un angolo della casa: questa volta sarebbe rimasta esattamente dov’era ad aspettare il ritorno di André, anche se si fosse trattato di attenderlo per ore!
    Afferrò quindi la bottiglia dello sherry per colmare di nuovo il proprio bicchiere, e più il vino scendeva, più la linea amara delle sue labbra si trasformava in un sorriso obliquo, quasi beffardo: in fin dei conti proprio sola non era, l’alcool poteva rivelarsi un’ottima compagnia…

    * * * * *


    Trascorsero almeno un paio d’ore prima che André potesse liberarsi…semplicemente perché ormai tutti gli ospiti si erano ritirati per la notte. Il generale lo aveva convocato per mostrare al marito di Hortense alcune pistole acquistate di recente: era toccato a lui andarle a recuperare in mezzo all’ampia collezione di famiglia, ed attendere che fossero sufficientemente ammirate dai presenti, per poi occuparsi di prepararle in modo che fossero disponibili per l’indomani, dal momento che era loro intenzione provarle sparando a qualche bersaglio lanciato in aria. Antoine a dire il vero aveva dimostrato ben poco interesse per le armi, però in compenso aveva riempito André di domande relative alla fiera equina prevista a Meudon di lì a pochi giorni, poiché era intenzionato ad acquistare un purosangue e sapeva quanto profonda fosse la sua conoscenza in fatto di cavalli. Non c’era quindi voluto molto perché gli fosse chiaro che non sarebbe mai ritornato in tempo per la loro partita a scacchi, destinata a non essere mai giocata.
    Quando riuscì finalmente a congedarsi, era ormai troppo tardi e non restava che andarsene a dormire, come certamente doveva aver fatto Oscar non vedendolo più tornare. Si diresse quindi verso la sua stanza, assai dispiaciuto per il modo improvviso con cui l’aveva di fatto abbandonata dopo essere stato lontano da lei tutto il giorno. Se davvero la sua caviglia stava migliorando – e lui per primo se lo augurava dal profondo del cuore – presto i suoi nipoti avrebbero rivendicato tutte le attenzioni della zia prediletta, e lui difficilmente avrebbe avuto una seconda occasione, altrettanto perfetta, di godere in esclusiva della sua compagnia.
    Si trovava a pochi passi dal salottino azzurro, che avrebbe oltrepassato per raggiungere la sua camera, quando vide che dall’uscio filtrava una luce troppo intensa perché potesse provenire dalle braci del caminetto. Decise quindi di assicurarsi che il fuoco non fosse troppo vivace, in modo da evitare spiacevoli incidenti notturni: con tutta la servitù ormai nelle proprie stanze, difficilmente qualcun altro sarebbe passato per un ultimo controllo. Fu per questo motivo che vi entrò, ma si accorse con grande stupore che non era vuoto.
    Oscar dormiva tranquilla sulla sua poltrona, le gambe rannicchiate sul sedile e le braccia mollemente abbandonate in grembo; il viso, inclinato verso la spalla destra in direzione del camino, era accarezzato dal bagliore delle fiamme che contribuivano ad addolcirne l’espressione serena. André sapeva di doverla svegliare, tuttavia si concesse qualche secondo per ammirare in silenzio la sua straordinaria bellezza, a cui, era certo, non si sarebbe mai abituato, nemmeno in cent’anni di vita. Oscar sembrava sprigionare forza e fierezza persino durante il sonno: per un istante ebbe la sensazione unica di osservare il riposo di un angelo guerriero.
    Gli ci volle un piccolo sforzo per riaversi da quella specie di incantesimo che pareva avergli rapito lo sguardo. Si avvicinò al fuoco, inginocchiandosi per buttare un po’ di cenere sui ceppi che ancora ardevano ed estinguere così le fiamme troppo alte, poi si volse verso di lei e solo allora notò sul tavolino la bottiglia di sherry…completamente vuota. Sì ritrovò a sorridere al pensiero che il suo angelo potesse essere, con ogni probabilità, un tantino alticcio. Chissà perché Oscar non si era ritirata come gli altri… Le toccò una spalla con gentilezza, cercando di farle aprire gli occhi senza spaventarla.
    - Oscar…Oscar…
    - Mmm….
    - Ti sei addormentata qui?
    Una domanda dalla risposta piuttosto scontata, ma non gli venne in mente altro per spingerla a svegliarsi.
    Oscar aprì un occhio solo a metà, riconoscendo vagamente la voce di André. Lo mise a fuoco quel tanto che bastò per avere la certezza che si trattasse di lui, poi riabbassò la palpebra.
    - Tu non tornavi più…
    L’ultima vocale venne accompagnata da un’intensa zaffata di sherry.
    - E ti sei scolata tutta la bottiglia mentre aspettavi?
    Altra domanda retorica…ma André iniziava davvero a divertirsi, inutile negarlo.
    - Mmm… Mi faceva male la caviglia…
    - E ora va meglio?
    - Asssssolutamente sì.
    Lo sherry come terapia per il dolore: strano non lo avesse prescritto il dottor Laçonne! André alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa di fronte ad una simile assurdità, poi il suo sorriso si fece più largo, prima di rivolgersi nuovamente alla bella addormentata di fronte a lui.
    - Oscar... Gli ospiti sono già andati tutti a letto. Vieni, che ti che ti accompagno in camera tua.
    - Noooo, lasciami qui...
    Lo disse quasi come un piccolo lamento, cercando inconsciamente di accoccolarsi ancora di più contro lo schienale.
    - Lo sai che la nonna non me lo perdonerebbe mai, se facessi dormire la sua bambina nel salottino, e senza neppure una coperta! Ho visto un mestolo nuovo di zecca nelle cucine. Vuoi proprio che sia io a testarne la qualità?
    Ricevette come risposta uno sbuffo piuttosto alcolico e decisamente poco femminile, davanti al quale trattenne a stento una risata. Si rese conto tuttavia, considerato lo stato attuale di Oscar e la distorsione alla caviglia, che rimetterla in piedi era oggettivamente da escludere. Non restava che una cosa sola da fare, la stessa che aveva desiderato con tutto il cuore quando l’aveva soccorsa la mattina precedente, e forse proprio lo sherry, a conti fatti, glielo avrebbe permesso. Si chinò su di lei, passandole il braccio sinistro intorno alla vita ed il destro sotto l’incavo delle ginocchia, per poi sollevarsi portandola delicatamente con sé, riuscendo a reggerla con una certa facilità nonostante la sua scarsa collaborazione. Oscar non si oppose all’intraprendenza di André, sembrò anzi gradire quel repentino cambio di posizione, che non parve per altro sufficiente a destarla: appoggiò invece la testa contro il petto di lui, piacevolmente attirata dal suo calore, e continuò tranquillamente a sonnecchiare.
    André uscì dal salottino cercando di moderare la sua andatura abituale: non potendo allungare il percorso, rallentare il passo era l’unico modo che gli consentisse di tenere il più a lungo possibile Oscar tra le sue braccia. Sentire il suo corpo tanto vicino al proprio era una sensazione indescrivibile. La fiducia con cui lei gli si era abbandonata contro, gli colmava l’animo di una gioia mai conosciuta: se solo avesse potuto, sarebbe rimasto così per il resto dei suoi giorni. Non gli importava neppure che lei si ricordasse o meno di questo momento, una volta svanita l’ebbrezza: voleva soltanto stringerla e godersi il solletico dei suoi capelli sotto il mento, quasi avesse bisogno di una prova tangibile per avere la certezza che non si trattasse soltanto di uno splendido sogno.
    Quando giunse davanti alla scala che li avrebbe condotti al piano superiore, mise il piede sul primo gradino e poi d’improvviso si fermò. Nonostante si considerasse già oltremodo fortunato, sentì il bisogno di ottenere qualcosa in più, e decise di ricorrere ad una piccola bugia.
    - Oscar, aggrappati a me, altrimenti rischi di sbilanciarti mentre saliamo, e cadere all'indietro.
    In realtà la sosteneva perfettamente anche così, ma desiderava che lei lo stringesse, pure se nell’illusione di un finto abbraccio. La sollevò leggermente verso di sé, in modo che potesse fargli scivolare le braccia intorno alla nuca: Oscar non aprì gli occhi ma assecondò i suoi movimenti, sistemandosi contro di lui fino a ritrovarsi con la testa comodamente appoggiata tra il collo e la sua spalla.
    André iniziò a salire la scalinata, felice che nessun altro potesse vederli e rovinare così un momento che sapeva di magia. Per un attimo, uno soltanto, si concesse di immaginare l’impossibile: se un giorno fosse riuscito a fare di Oscar sua moglie, avrebbe potuto portarla in quel modo a pieno diritto…
    - Sai di buono, André.
    La voce di lei, così inaspettata nel silenzio che li avvolgeva, lo fece trasalire, e mancò poco che inciampasse. Gli ci volle qualche secondo per realizzare con stupore ciò che aveva detto. La sua curiosità ebbe la meglio e scelse di dare seguito a quelle parole a dir poco sorprendenti.
    - Ah…davvero?
    - Sì...tu sai sempre di buono.
    Era certamente lo sherry a parlare per lei, eppure per niente al mondo André si sarebbe sottratto ad un simile scambio di battute.
    - E il buono…che odore è?
    Prima di rispondere, Oscar scivolò leggermente indietro con la testa, in modo da raggiungere con la punta del naso un punto imprecisato sotto l’orecchio di lui, vicino all’attaccatura dei capelli. Lì, senza neppure aprire gli occhi, inspirò a pieni polmoni, per poi espirare lentamente, seminando brividi ovunque sulla pelle di André, accarezzata dal suo fiato caldo. Un fremito improvviso lo percorse, tanto intenso da costringerlo ad appoggiarsi un istante al corrimano per evitare di perdere l’equilibrio. Nelle orecchie solo il martellare incontrollato del suo cuore, fino a quando la voce di Oscar lo raggiunse, quasi attutita dai battiti in corsa.
    - È l'odore del vento a primavera... Del fieno asciugato al sole... Della terra che respira dopo il temporale… È l'odore di...casa.
    L’ultima parola fu per André pura emozione: davvero poteva illudersi di essere tutto questo per Oscar? Di essere in un certo senso la sua casa? No, no, doveva restare con i piedi per terra! Le parole di lei erano soltanto frutto di quella bottiglia che si era bevuta aspettando il suo ritorno! Non poteva essere altrimenti…non poteva! Eppure… Non lo dicevano forse anche i latini? In vino veritas… Se solo avesse potuto sperare tanto… Gli bastò quel semplice pensiero per sentire l’animo allargarsi nel petto. Attese trepidante in silenzio, ma Oscar non aggiunse altro…e lui non ebbe il coraggio di chiedere nulla.
    Superati gli ultimi gradini, bastarono pochi passi per raggiungere infine la camera. Fortunatamente la servitù aveva lasciato la porta solo accostata, così che André poté aprirla con un leggero colpo di spalla, senza dover mettere Oscar a terra. Una volta entrati, la spinse con la schiena per richiuderla dietro di sé, prima di avanzare verso il centro della stanza: nel caminetto ardeva un bel fuoco che, oltre a riscaldare l’ambiente, garantiva luce sufficiente per muoversi con facilità senza urtare alcun mobile.
    Si diresse verso il letto, che era già stato preparato per la notte, e si chinò in avanti, intenzionato ad adagiare Oscar sulle lenzuola. Ma non vi riuscì, poiché nell’istante in cui si sentì allontanata dal suo torace, lei gli si aggrappò ancor di più, rifiutandosi di abbandonare le braccia che la cingevano: sembrava quasi che stesse minacciando di buttarla in acqua, dal modo in cui subito si strinse a lui.
    - Nooo… Non voglio andare a letto! Voglio restare così…
    Lo disse quasi lamentandosi, con un tono che regalò un ché di infantile alla sua voce roca e sensuale. André alzò gli occhi al cielo, stupito ed insieme divertito dalla reazione di lei, indubbiamente dettata dall’aver esagerato con l’alcool. La situazione stava prendendo una piega decisamente inaspettata, ma più piacevole del previsto. Sorrise. Poi si raddrizzò, affiancandosi al letto, e si sedette sulle coltri, tenendo Oscar in grembo in modo che la gamba sinistra, offesa dalla caduta, rimanesse verso l’esterno, sopra le coperte. Con una mano si sistemò uno dei cuscini tra la schiena e la testiera del letto, così da essere un po’ più comodo.
    Sentendosi di nuovo al sicuro tra le sue braccia, Oscar spostò il capo leggermente indietro, sino a poggiare la nuca tra la spalla e il gomito di lui: con gli occhi chiusi e l’ombra di un sorriso, appena accennato, sulle labbra, sembrava essersi improvvisamente riaddormentata. Il bagliore del fuoco le illuminava a malapena il volto, eppure André non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi lineamenti, perfetti come quelli di una dea, e dalla sua bocca socchiusa, così invitante da indurre in tentazione persino il più santo dei santi. Il ricordo del suo sapore dolce, rubato con violenza una notte di tanto tempo prima, si fece largo con forza dentro di lui, spingendolo ad un passo dal baciarla di nuovo. Se riuscì a trattenersi fu solo per rispetto nei suoi confronti: sarebbe stato da codardi approfittarne così. Doveva piuttosto accontentarsi di averla tanto vicina da poter seguire il ritmo lento e regolare del suo respiro, e pregare affinché il mattino non arrivasse troppo presto a portarsi via il suo angelo guerriero.
    - Dio, Oscar! Quanto sei bella!
    La frase gli uscì di getto, ancor prima di rendersene conto. E quelle parole, sfuggite direttamente dal cuore, fecero risuonare la sua voce nel silenzio che riempiva la stanza.
    Quasi in risposta al suo richiamo, Oscar sollevò lentamente le palpebre, lo sguardo a cercare nella penombra quello di lui. Le fiamme del camino tremolavano minuscole nelle sue iridi, facendole brillare come piccoli zaffiri incastonati nella roccia: erano davvero una visione senza pari.
    - Anche tu sei bello. Anzi, sei bellissimo.
    Ad André ci volle più di un istante per superare lo sconcerto e realizzare appieno il significato di quelle parole. E fu in realtà l’unica cosa che gli riuscì di fare: qualsiasi tentativo di rispondere venne infatti smorzato sul nascere dal gesto inaspettato di lei. Oscar sollevò lentamente una mano verso il suo viso, scostando con delicatezza i capelli dietro cui nascondeva da sempre l’occhio ormai cieco.
    - Sei bello qui – lo disse accarezzando con la punta delle dita la cicatrice che lo aveva privato anni prima della vista. Ad André si spezzò il respiro.
    Poi abbassò la mano fino a raggiungere il suo torace, per appoggiare il palmo sul petto caldo, nel punto in cui il cuore correva ad un ritmo ormai incontrollato.
    - E soprattutto qui. Ed è per questo che…io ti amo.
    Non erano che tre semplici parole, dette quasi in un sussurro, ma in un attimo furono in grado di fermare il mondo così come André lo aveva sempre conosciuto. Avrebbe voluto stringerla a sé e gridarle finalmente tutto il suo amore, ma si sentì sopraffatto dal caos di emozioni che gli era esploso nell’anima, e non poté fare altro che rimanere attonito a guardarla, la voce finita chissà dove, forse polverizzata dalla stessa forza con cui la dichiarazione di Oscar lo aveva letteralmente travolto. Fu allora che lei gli si avvicinò, per suggellare con un piccolo bacio quella confessione che sapeva di miracolo. Un tocco così veloce e lieve prima di ritrarsi, poco più che l’illusione di un momento, eppure fu sufficiente per riportarlo nuovamente alla realtà.
    Richiamato da quel timido invito, André si chinò verso la sua bocca morbida con l’unico desiderio di catturarla e lasciare che fossero le labbra a raccontare di un sentimento ormai troppo grande perché un cuore soltanto potesse contenerlo. Non riuscì però a raggiungerla, poiché il viso di Oscar scivolò dolcemente da un lato, fino a poggiarsi con la guancia nell’incavo del suo gomito: con gli occhi già chiusi ed il respiro profondo e regolare, aveva infine ceduto al sonno da cui era stata destata.
    Per un istante, André fu tentato di svegliarla di nuovo, tanto era prepotente il bisogno di sentire il suo sapore, ma vedendo l’espressione serena con cui si era abbandonata tra le sue braccia, decise di non disturbarla. Le depose invece un casto bacio sulla fronte, perché accompagnasse il suo riposo come una piccola benedizione. Quando fece per allontanarsi da lei, notò qualcosa sopra la sua gota, una piccola goccia che la luce del caminetto faceva brillare nella penombra. Di riflesso si portò le dita al volto per scoprire con meraviglia che una lacrima era sfuggita proprio all’occhio sfiorato da Oscar, bagnando la pelle di entrambi.
    Ricordava ancora l’ultima volta in cui aveva pianto per lei…ed insieme a lei, in una notte incancellabile in cui l’aveva quasi perduta, spingendola ad allontanarsi da lui. Ed erano state lacrime così amare e piene di dolore da lasciargli un solco incolmabile sul cuore. Ora però era tutto diverso… Non c’era alcuna sofferenza, ma una gioia talmente immensa da riuscire a stento a trattenerla. Oscar lo amava…lo amava! Poco importava che le sue parole fossero una conseguenza dello sherry: il modo in cui lei lo aveva guardato, il suo sguardo sicuro e sincero mentre aveva dato voce ai suoi sentimenti, erano la prova che quell’amore doveva realmente esistere! Non poteva essere altrimenti: glielo diceva il calore che sentiva ancora bruciargli il petto, nel punto in cui Oscar lo aveva toccato.
    Alzò la mano per scostarle una ciocca ribelle dietro l’orecchio, lasciando che le dita vagassero lungo lo zigomo, fino a percorrere in una lunga carezza la linea della mascella. Con il pollice le sfiorò il labbro inferiore. Avrebbe atteso, rimanendo al suo fianco con pazienza e dedizione, e un giorno – ne era certo! – avrebbe di nuovo sentito quelle stesse meravigliose parole uscire dalla sua bocca.
    Il fuoco nel camino iniziava lentamente a scemare, rendendo l’aria meno calda. André tolse con delicatezza le scarpe ad Oscar e riuscì a sfilarsi le proprie usando i piedi, in modo da metterli sotto le lenzuola; poi con il braccio libero raggiunse coperte e copriletto e li tirò verso di sé, coprendo entrambi il più possibile. Scese un po’ più in basso con la schiena, fino a trovare una posizione più comoda per dormire, facendo il possibile per non disturbare la sua bella addormentata. Oscar seguì il suo movimento ma non si svegliò, girò anzi la testa per accoccolarsi contro la sua spalla, cercando inconsciamente di aggrapparsi a lui con il braccio che non poggiava contro il suo torace. Fu così che la sua mano scivolò verso il fianco di André, andando casualmente ad infilarsi nello scollo profondo della sua camicia bianca, per fermarsi infine sui suoi addominali, che subito si contrassero a quel tocco inaspettato.
    André chiuse gli occhi trattenendo il respiro, impreparato a sentire su di sé un contatto che aveva sempre e soltanto rincorso nei suoi sogni più inconfessabili. Mise la sua mano su quella di lei affinché non scendesse oltre e vanificasse così ogni suo sforzo di non cedere al desiderio che sentiva premere sotto la pelle. Lo aspettava una lunga prova di resistenza che gli avrebbe forse scontato qualche anno di Purgatorio, ma per nulla al mondo avrebbe mai rinunciato anche ad un solo secondo di una notte trascorsa con Oscar tra le braccia. Appoggiò quindi il capo contro quel poco di cuscino che lo separava dalla testiera del letto, lasciando che il mento si posasse tra i suoi capelli biondi, proprio come accadeva da bambini, quando il timore del temporale spingeva la sua impavida compagna di giochi a cercare il suo conforto. Sorrise ripensando a quegli anni ormai così lontani, eppure sempre vividi nella sua memoria: ogni istante condiviso con Oscar valeva il senso di tutta una vita.
    Sapeva che il sonno non si sarebbe fatto attendere, non dopo la giornata intensa che portava sulle spalle. Si diede quindi il tempo di una piccola preghiera per ringraziare Dio del grande dono ricevuto nonostante gli sbagli commessi, e giurò sul Suo nome che mai più avrebbe lasciato andare la sua Oscar. Solo allora cedette alla stanchezza e permise a Morfeo di accoglierlo finalmente nel suo dolce abbraccio.

    Continua...

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    3. Parte
    I SOGNI NON MUOIONO ALL’ALBA


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    André fu il primo a svegliarsi: sollevò le palpebre con lentezza, lasciando che gli occhi si abituassero a quel poco di chiarore che si stava facendo largo nella stanza attraverso i pesanti tendaggi, chiusi maldestramente da qualche cameriera sbadata. Nelle orecchie risuonavano i cinguettii vivaci degli uccellini fuori dalla finestra, già così indaffarati ed operosi alle prime luci dell’alba: un nuovo giorno stava nascendo, e davvero per lui non sarebbe potuto essere più nuovo. Sorrise, come mai gli era capitato destandosi negli ultimi tempi.
    Non ebbe bisogno di cercare Oscar con lo sguardo poiché sentiva ancora su di sé il suo peso leggero, e un po’ di torpore nella braccia, che non l’avevano però lasciata andare durante la notte. Il suo abbraccio era ancora forte, solido ed affidabile, proprio come il suo amore per lei. Neppure Oscar si era mossa molto dalla posizione in cui si era addormentata: quando infine la guardò, vide che era scivolata nuovamente indietro con la testa, andandosi ad appoggiare con la nuca nell’incavo del suo gomito, come la sera precedente. Chissà forse era una posizione a suo modo comoda, ma di certo gli dava la possibilità di ammirarla senza alcuna fatica in tutta la sua bellezza: si sarebbe goduto come spettatore privilegiato il momento unico del suo risveglio.
    Si prese qualche minuto per ripensare a ciò che era successo: non fosse stato per quel corpo ancora stretto a sé, avrebbe forse potuto dubitare della sua mente, liquidando il tutto come uno dei tanti sogni notturni venuti a dare vita ai suoi desideri più profondi, ma ricordava fin troppo bene ogni singolo istante trascorso da quando aveva ritrovato Oscar addormentata nel salottino azzurro, e niente avrebbe potuto convincerlo che si fosse trattato di un’illusione.
    “Ed è per questo che io ti amo”: poteva sentire le sue parole ancora e ancora riecheggiare nella mente, no, in ogni fibra del suo essere, scuotendo con forza le fondamenta della realtà così come l’aveva sempre avuta davanti agli occhi. Pensare che lo aveva davvero confessato! E con quale dolcezza! Avrebbe dovuto farsi tatuare quella frase sulla pelle, perché tutti potessero vedere ciò che aveva impresso sul cuore. Chissà, forse ci sarebbero voluti anni perché lei arrivasse a ripeterlo in piena sobrietà, tuttavia la consapevolezza di essere corrisposto, di avere il suo amore, avrebbe cambiato per sempre il senso della sua vita. Appoggiò la testa contro la testiera del letto e chiuse un istante gli occhi, per meglio assaporare la sensazione così nuova e straordinaria di sentirsi…completo.
    Oscar mosse leggermente la testa verso destra, strizzando gli occhi ancora chiusi per sfuggire ad un raggio di luce, venuto a posarsi con una certa impudenza proprio sulle sue palpebre. Il movimento le causò una piccola fitta al collo, rimasto per troppo tempo in una posizione poco adatta al riposo, e fu sufficiente a strapparla dal sonno. Il suo primo impatto con la realtà fu alquanto confuso: la vista sembrava annebbiata e le bastò sbirciare quel poco di chiarore mattutino intorno a sé per avere un inizio di emicrania. La mente poi era un groviglio di pensieri caotici e fugaci, impossibili da inseguire, finché tra tanta confusione riuscì ad afferrarne soltanto uno, in grado però di spiegare una simile mancanza di lucidità: lo sherry. Si ricordò così di aver bevuto troppo la notte precedente, e di aver bevuto…da sola? Oppure no? Non ricordava neppure di essere tornata in camera sua… Forse era semplicemente troppo presto per avere le idee chiare: di certo un caffè amaro per colazione sarebbe stato d’aiuto.
    Si sforzò quindi di aprire gli occhi completamente per scacciare quel fastidioso torpore, e fu allora che lo vide: il volto sorridente di André, che la guardava dall’alto.
    - Buongiorno, Oscar! Ben svegliata.
    - André…? Ma cosa…
    Stupore e confusione le impedirono di terminare la frase. Intuendo quanto potesse sentirsi disorientata, André venne in suo aiuto.
    - Ieri sera ti sei addormentata sulla poltrona. Era molto tardi quando ti ho trovata, così ho pensato di portarti nella tua stanza. Ti ricordi…qualcosa?
    Lo chiese con un misto di timore e speranza, cercando di soffocare con un respiro profondo l’improvvisa accelerazione dei suoi battiti: forse era stato troppo ottimista nel credersi capace di pazientare per chissà quanto tempo…
    Oscar tuttavia non colse la sua esitazione, la mente già occupata a frugare la memoria nel tentavo di ricostruire la sera precedente: il salottino azzurro, una scacchiera, l’immagine di André che si allontanava, dandole le spalle…e di nuovo lo sherry. Ma era tutto così vago e privo di qualsiasi ordine cronologico. E soprattutto non rammentava nulla di come fosse giunta nella sua stanza. Buio completo. Sentì il bisogno di rinfrescarsi il viso.
    Fece per muoversi, convinta di rialzarsi dal letto, e solo in quel momento si rese conto di non essere affatto sdraiata sulle coltri, ma di essere…in grembo ad André! Cosa diavolo ci faceva tra le sue braccia?? Possibile che avesse trascorso così tutta la notte? La posizione quanto meno sconveniente e la consapevolezza di non ricordare nulla di come vi si fosse ritrovata, moltiplicarono in modo esponenziale il suo turbamento. Rammentava ancora l’effetto che il suo tocco aveva avuto su di lei: e se a causa del vino si fosse comportata in modo disdicevole? Poi vide che con la mano destra si era appoggiata al suo torace, andando ad infilargli le dita addirittura nello scollo della camicia… La sua pelle calda sembrava scottare sotto i polpastrelli. Fu davvero troppo. Sentì l’imbarazzo investirla improvvisamente come un’ondata inarrestabile, ed il viso avvampare senza che potesse in alcun modo nasconderlo: sarebbe certamente arrossita fino alla punta dei capelli! Doveva recuperare quanto prima un minimo di autocontrollo, e di certo non ci sarebbe riuscita restando sulle gambe di André. Prese così a divincolarsi nel tentativo di scendere al più presto, cercando senza successo di mascherare a parole il proprio disagio. Ma nessuna frase coerente sembrava volesse correre in suo aiuto.
    - Ecco, io non dovrei…. Mi dispiace… Non posso…
    André capì che si stava agitando ed il cuore gli si intenerì nel vederla così impacciata: quasi gli pareva di farle torto poiché, contrariamente a lei, ricordava ogni singolo istante di quella serata memorabile. Che Oscar tentasse di liberarsi dal suo abbraccio con una certa urgenza, era comprensibile, tuttavia temeva che, senza accorgersene, potesse danneggiare la caviglia ed annullare in un attimo i benefici conquistati con tanta fatica. Doveva fare qualcosa per evitare che accadesse.
    - Oscar, stai attenta o ti farai di nuovo male al piede… Ti aiuto io a scendere.
    Si chinò verso di lei per consentirle di raddrizzarsi con la schiena e scivolare verso il letto rimanendo seduta, ma in quello stesso momento Oscar si diede una spinta in avanti, probabilmente nell’intento di ottenere da sola il medesimo risultato. E fu così che finirono per urtarsi, cozzando con violenza fronte contro fronte: il colpo sembrò riecheggiare nella quiete della stanza, e fu seguito da un “Ahi!” esclamato all’unisono. Entrambi si portarono la mano nel punto in cui si erano scontrati per massaggiarsi con forza, cercando al contempo di nascondere la propria sofferenza. Ma nell’istante in cui i loro sguardi si incrociarono, riconobbero ognuno la propria reazione replicata fedelmente in quella dell’altro, e non poterono fare a meno di scoppiare a ridere. E quanto liberatoria fu quella risata condivisa, così spontanea e gioiosa, da non poter essere contenuta in alcun modo! Risero di gusto, fino alle lacrime, e più ridevano e più l’imbarazzo di Oscar scemava, portando via con sé qualsiasi traccia di turbamento, per fare posto soltanto a quella complicità così unica che da sempre la legava a lui.
    Così come li aveva travolti in un attimo, l’allegria se ne andò con la stessa velocità, lasciando sulle labbra la traccia di un sorriso. Ma i loro occhi che si erano trovati quasi per caso, restarono come impigliati, impossibilitati ad allontanarsi tanto era profondo il bisogno, finalmente, di vedersi. Cadde il silenzio tutto intorno, eppure quante parole tra quegli sguardi ormai persi l’uno dentro l’altro! Il tempo sembrò essersi fermato, finché André capì che non avrebbe mai avuto un’altra occasione altrettanto perfetta per dare di nuovo voce a ciò che serbava nel cuore.
    - Ti amo, Oscar.
    Lo disse senza aspettarsi né pretendere nulla in cambio, semplicemente perché voleva dichiararle il suo amore senza che dolore, pianto o rabbia tornassero a macchiarne la purezza. Oscar non rispose, rimase immobile a guardarlo, lasciando che quelle tre meravigliose parole le colmassero l’anima: solo in quel momento si rese conto di quanto desiderasse sentirle ancora.
    André cercò un indizio, anche il più piccolo, in grado di confermare la dolce confessione che lo sherry aveva così facilmente incoraggiato, quasi volesse provare a se stesso di non aver vissuto solo una splendida illusione. Poi vide le pupille dilatarsi nell'azzurro senza fine delle sue iridi, come due piccole porte spalancate sull’anima soltanto per lui, ed ebbe la certezza che non sarebbe più tornato indietro. Voleva soltanto baciarla, non gli importava di nient’altro se non raggiungere quelle labbra rosa, dischiuse ed invitanti, e farle sue. Si avvicinò lentamente, lasciando ad Oscar tutto il tempo di ritrarsi: sapeva quanto pesasse tra loro il ricordo del suo primo bacio, con cui l’aveva punita piuttosto che amata, e temeva potesse spaventarsi fino a respingerlo. Ma tutto il suo riguardo ebbe vita assai breve quando le mani di Oscar d’improvviso lo afferrarono per lo scollo della camicia, attirandolo con forza verso di sé. E fu la bocca di lei a cercarlo, inesperta e al contempo impetuosa, innocente e dannatamente sensuale, irresistibile come il canto di una sirena.
    Lo stupore di André durò un solo istante, il tempo di essere cancellato dalla morbida insistenza con cui le labbra di Oscar cercavano di plasmare le sue. Le lasciò condurre i primi passi di una danza vorticosa dettata dall’urgenza di entrambi di trovarsi dopo tanto cercare, poi le impose dolcemente il proprio ritmo, fino a guidarla con deliberata lentezza a gustare appieno ogni respiro condiviso. Con le mani le cinse la vita, stringendola a sé senza mai abbandonare la sua bocca. Non vi fu più bisogno di alcuna prova né futile indizio: quel bacio valeva più di mille parole.
    Stretta tra le sue braccia, Oscar perse la percezione della realtà: la stanza intorno a loro sembrava essere svanita nel nulla, tempo e spazio erano come evaporati sotto la pioggia di sensazioni che le labbra di André le stavano donando. Sentire la sua voce calda rinnovare il suo amore per lei, aveva liberato in attimo tutte le emozioni che per mesi aveva custodito gelosamente dentro di sé, spazzando via come cenere al vento ogni briciolo di razionalità. Si era aggrappata a lui senza neppure pensare a quanto quel gesto potesse essere inappropriato: voleva soltanto la sua bocca, l’unica che avesse mai conosciuto…l’unica che avesse mai desiderato. E André l’aveva accolta, aveva corrisposto con ardore al suo slancio inaspettato, riuscendo a trasformarlo a poco a poco in una dolcezza suadente e sconosciuta. Si lasciò colmare dal suo sapore, aprendo le labbra per lui, nutrendosi della stessa vertigine: la sua lingua sembrava invitarla ad un banchetto senza fine... Era facile arrendersi ai sensi, abbandonarsi contro di lui tra quelle braccia a cui sentiva di appartenere da sempre, ma in fondo al cuore Oscar sapeva che un bacio da solo non sarebbe bastato.
    Si separarono per riprendere fiato, ancora ubriachi l’uno dell’altra. Era difficile recuperare la calma necessaria per parlare, ma Oscar voleva disperatamente che André sapesse ogni cosa.
    - André, io…ho fatto così tanti sbagli… Credevo di essere innamorata di un altro…e ho cercato di allontanarti quando mi hai confessato ciò che provavi per me. Tu hai rinunciato a tutto per starmi accanto, ed io invece ti ho fatto soffrire…
    Il petto le tremava per aver messo a nudo la propria fragilità, ma sentiva il bisogno di confessare tutti i suoi timori.
    - Come puoi…amarmi ancora?
    - Amo tutto ciò che sei. Con ogni battito del mio cuore. E per tutta la vita.
    Calde lacrime le rigarono il volto nell’udire la sua voce pronunciare senza alcuna esitazione una simile promessa d’amore. Il silenzio, che per lungo tempo l’aveva protetta, le sembrò d’improvviso soffocante.
    - Oh André, anch’io, anch’io ti amo! Come mai avrei pensato di poter amare! Desidero soltanto stare con te, essere al tuo fianco per tutto il tempo che mi sarà concesso di vivere! Condividere il tuo cammino…se tu lo vorrai.
    Era più di quanto André potesse sperare, più di quanto avrebbe mai osato immaginare: sentì un nodo salire rapido in gola ed ebbe solo la forza di risponderle “Sì, lo voglio!” prima di smarrire le parole nel mare delle emozioni. Con una mano cinse Oscar alla nuca attirandola verso di sé: un bacio e poi un altro ancora, fino a perdere il respiro tra le sue labbra morbide.
    La spinse delicatamente sulle coltri, incapace di saziarsi di quella bocca che chiedeva soltanto di essere assaporata all’infinito. Si staccò da lei per ammirarla in tutta la sua bellezza: con le mani appoggiate ai lati del suo viso, lasciò affondare i polsi nelle onde dorate che i lunghi capelli biondi disegnavano lenzuolo. La voglia di lei lo travolse come un fiume in piena, annebbiandogli la mente.
    Oscar lo guardava come se null’altro esistesse al mondo: il respiro, reso breve dall’attesa, le sollevava veloce il petto. Desiderava…qualsiasi cosa lui volesse darle. Ed ecco riaffiorare vivido in lei il ricordo del piacere quasi proibito rubato dalle dita di André, mentre le tastava la caviglia sull’erba… Allungò una mano fino al suo viso lasciando che la barba di un giorno le solleticasse i polpastrelli, per poi tracciare un sentiero, lento ed infuocato, attraverso lo scollo della camicia, sino ad appoggiare il palmo nel punto in cui il cuore batteva furioso: poteva sentirne il ritmo impazzito attraverso la pelle.
    - Toccami, André. Voglio sentire le tue mani…
    Quel poco di autocontrollo che ancora era riuscito a conservare, nonostante la pioggia di brividi disseminati dal passaggio delle sue dita sottili, svanì in un istante quando udì la voce roca di Oscar chiedere ciò che lui stesso aveva sempre bramato, ogni notte della sua vita. Sollevò la mano destra per accarezzarle il volto ed il collo, restituendole il gesto seducente con cui lo aveva appena toccato, fino a farsi largo tra i piccoli bottoni della camicia di seta, che docili cedettero al suo passaggio. Racchiuse le dita intorno ad un seno, trattenendo il respiro per il fremito con cui lei reagì a quel contatto, poiché lo aveva sentito anche dentro di sé, replicato in ogni singola cellula. Con il pollice ne sfiorò la punta, strappandole un gemito. Guardò il suo viso e rivide la stessa reazione di quando l’aveva soccorsa nel bosco: gli occhi chiusi, le guance leggermente arrossate ed il labbro inferiore stretto tra i denti… Non poté reprimere un sorriso al pensiero di aver scambiato il suo piacere per sofferenza. Poi si chinò su di lei…e non fu più possibile pensare.
    Ad Oscar parve mancare l’aria quando sentì le labbra di André chiudersi sul suo seno. La sua bocca sapeva quando lambire e quando suggere, era tormento ed estasi insieme, come un’onda inarrestabile venuta a trascinarla alla deriva. Affondò le mani nei suoi capelli neri quasi cercasse di aggrapparsi a lui mentre la realtà sembrava dissolversi in sogno.
    Inebriato dai suoi ansimi, André lasciò scorrere le dita sull’addome piatto, lentamente, per non perdersi neppure un centimetro della pelle serica che andava conquistando. Disegnò un piccolo cerchio intorno all’ombelico e poi scese fino al laccio dei pantaloni, ultimo debole ostacolo al piacere che voleva darle. Quando raggiunse finalmente il suo mistero, udì Oscar trattenere il respiro ed un sussulto le pervase le membra. La accarezzò a fondo, perdendosi nel suo caldo languore, godendo di ogni suo sospiro, ed Oscar lo accolse, i sensi ormai offuscati dalla passione e da sensazioni così intense e sconvolgenti da sopraffare qualsiasi pensiero coerente. Riuscì soltanto ad invocare il suo nome prima di abbandonarsi alla voluttà.
    Riaprire gli occhi fu come tornare alla realtà dopo aver avuto un assaggio di paradiso. André le sorrideva, nello sguardo un misto di tenerezza e desiderio a stento trattenuto: il corpo gli doleva dal bisogno sempre più urgente di farla sua. Ed Oscar sentiva dentro di sé la stessa frenesia, voleva donare se stessa all’uomo che amava, senza alcuna riserva. Cercò la sua mano per deporre un bacio sul palmo caldo, poi allungò il braccio fino a raggiungergli il fianco: afferrò un lembo della sua camicia tirandolo verso di sé, sino a sfilarlo dai calzoni. Con gli occhi immersi nei suoi abbandonò ogni pudore, per dare voce ad un’unica richiesta:
    - Ancora…
    Una parola soltanto, ma non fu l’unica importante. André la liberò velocemente degli indumenti, poi fece altrettanto con i propri, offrendole per qualche istante lo spettacolo straordinario della sua nudità. In un attimo fu di nuovo da lei. La baciò a lungo, nutrendosi del desiderio che ormai infiammava entrambi: la sua bocca sapeva di fuoco e di possesso.
    La fece voltare su un fianco, scostandole i capelli per poterle posare le labbra sulla nuca, e da lì scese lento sul dolce pendio della schiena, disseminando brividi ovunque la sfiorasse. Lasciò vagare le dita su di lei fino a stringerle un seno, mentre il loro respiro andava accelerando: quando raggiunse la sua femminilità e sentì che era già pronta per lui, credette di non riuscire più a trattenersi.
    Oscar si abbandonò contro quella mano che sembrava conoscere ogni segreto del suo corpo. Il piacere giungeva ad ondate sempre più intense, togliendole persino la capacità di pensare: quando fu vicina all’apice, d’istinto si mosse verso di lui, sfregandosi contro il suo bacino come a chiedere di più. Allora André la cinse ad un fianco e scivolò in lei.
    E per entrambi fu come rinascere, sentire ogni cosa per la prima volta: iniziare finalmente a vivere, solo per essere l’uno parte dell’altra.
    André avrebbe voluto immergersi ancora e ancora nel suo calore, cedere alla smania che lo stava bruciando, ma si trattenne poiché temeva di averle causato dolore, e le diede il tempo di abituarsi a lui.
    Accogliere l’uomo che amava dentro di sé, superò qualsiasi sensazione Oscar avesse provato sino a quel momento: stretta tra le sue braccia forti si sentì per la prima volta donna, per la prima volta completa. Volse il viso oltre la spalla, cercandolo con lo sguardo, e nei suoi occhi verdi vide amore, passione, desiderio…e protezione. André era tutto il suo mondo, da sempre: il suo passato, il suo presente, ed il suo futuro. La sua vita.
    - Ti amo, André!
    Le sorrise emozionato, mentre il cuore vibrava al dolce suono di quelle parole. Un bacio sulla spalla e una lunga carezza a percorrerle il braccio, scendendo lento fino alla sua mano, per intrecciare le dita alle sue, ed insieme stringere il lenzuolo quando la prima spinta li lasciò senza fiato. E poi affondare di nuovo in lei, lasciarsi cullare dal suo ardore, per trascinarla con sé in una danza dei sensi sempre più incalzante. Con il viso immerso nei suoi capelli riuscì soltanto a sussurrarle “Oscar, Oscar…” prima che la voce si spegnesse in un gemito sulla sua pelle madida.
    La stanza si riempì dei loro ansiti. Oscar sentiva André in ogni fremito, così a fondo dentro di lei da raggiungerle l’anima. Il suo respiro caldo sul collo le tolse l’ultimo grammo di lucidità. Quando lui capì di essere sul punto di perdersi, con un braccio le circondò la vita, stringendola a sé per poter raccogliere fino all’ultimo sussulto. L’estasi esplose improvvisa, consumandoli in un unico brivido.
    Il tempo riprese a scorrere lento non appena i loro battiti tornarono alla normalità. André si scostò delicatamente da lei, facendola stendere sulla schiena. Era ancor più bella dopo l’amore: il viso leggermente arrossato e le labbra socchiuse, cariche di promesse. L’amava così tanto che il cuore gli sembrò si fosse di colpo ristretto. Le sfiorò la guancia con il pollice, asciugando la traccia ancora umida di una lacrima.
    - Stai bene?
    - Sì André. Mi sento così…viva! Come se fossi nata ora…tra le tue braccia.
    Allungò la mano per accarezzargli il volto, un gesto per lui ancora così nuovo che la vista gli si appannò.
    - Ti amo, Oscar.
    Si chinò per raggiungere la sua bocca, baciandola con tutta la tenerezza e la dolcezza che per anni aveva dovuto trattenere dentro di sé. Ed Oscar sembrava non saziarsi mai delle sue labbra… Non ci volle molto perché il desiderio tornasse a ridestarsi in lui.
    Si staccò da lei a malincuore, conscio che la luce del giorno aveva ormai sostituito il chiarore dell’alba. Gli sovvenne così dell’impegno preso con il generale e sconsolato affondò il viso nella sua chioma dorata, espirando con enfasi.
    - Che c’è? Qualcosa non va?
    - Mi sono ricordato ora che questa mattina tuo padre e i tuoi cognati vogliono provare alcune pistole. Dovrò preparare qualche bottiglia vuota da lanciare in aria, e molto probabilmente toccherà a me accompagnarli…
    Ad Oscar quelle parole parvero presagire una nuova, interminabile serie di ore trascorse in solitudine… Di fronte ad una prospettiva così temibile, la sua risposta risuonò quasi intimidatoria.
    - Non ti azzardare a lasciarmi di nuovo sola tutto il giorno! Ti avverto che oggi mi avrai sempre tra i piedi, dovessi persino saltellare sulla caviglia sana per riuscirci!
    A dire il vero non sentiva più alcun dolore al piede sinistro, se ne rese conto solo in quel momento. Ma non era quello il punto…
    André si lasciò sfuggire una risatina nell’immaginarsi Oscar sgambettare per tutta la tenuta, poi realizzò ciò che si nascondeva dietro la sua debole minaccia e sentì il cuore intenerirsi.
    - Ti sono forse mancato?
    - Non hai idea di quanto. Speravo addirittura che un acquazzone ti costringesse a restare in casa…
    Dio, quanto era dolce! Per un attimo gli sembrò di rivedere in lei la bambina spensierata a cui non mancava mai il sorriso e che lo aveva conquistato con la sua generosità ed il suo affetto sincero prima di rinnegare le proprie emozioni a causa di un’uniforme… La sua Oscar. Ringraziò il cielo per averla ritrovata.
    - In verità anche quando sono lontano, tu sei la padrona indiscussa dei miei pensieri…
    Si abbassò di nuovo verso le sue labbra sorridenti, ma sì fermò improvvisamente prima ancora di sfiorarle.
    - Aspetta! Lo senti anche tu?
    Nel silenzio che seguì, udirono un ticchettio contro i vetri della finestra farsi sempre più insistente. André si alzò dal letto dirigendosi verso i pesanti tendaggi, intenzionato a scoprirne l’origine. Oscar lo seguì con lo sguardo: vederlo muoversi completamente nudo per la stanza le provocò una punta di imbarazzo, facendola arrossire: era così bello che il cuore le fece una capriola nel petto. Poi ricordò le sensazioni meravigliose che quel corpo le aveva appena fatto provare, tanto intense da averle ancora sulla pelle, e si sentì avvampare.
    - Beh, pare proprio che la tua preghiera sia stata esaudita…con un giorno di ritardo! Sta piovendo, Oscar, e neppure poco! Direi che le pistole per oggi rimarranno al loro posto.
    Si volse per tornare da lei, andando ad inginocchiarsi ai piedi del letto: con le braccia appoggiate alle coltri ed incrociate sotto il mento, si ritrovò di proposito con il volto a pochi centimetri dal suo. Bastò immergersi nei suoi occhi di cielo perché il sangue gli scorresse veloce nelle vene. La voleva di nuovo, forse ancor più di prima, ora che era stata sua…
    - Per cui, mio comandante, sono a tua completa disposizione! Una parola soltanto, e farò tutto ciò che vorrai…
    Un lampo di malizia attraversò veloce lo sguardo di Oscar. Allungò una mano facendo scorrere le dita tra i suoi capelli corvini, lisci e morbidi, che l’amore aveva arruffato, fino a cingergli la nuca perché si avvicinasse ancora di più. Si sporse sino a raggiungere il suo orecchio, così da poter sussurrare ciò che ogni sua cellula non faceva altro che gridare in silenzio.
    - Ancora…
    E mai, nella storia dei soldati della Guardia, vi fu ordine più dolce a cui dover obbedire.

    Fine

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    Edited by Ssimo72 - 27/4/2024, 20:42
     
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